La tesi di dottorato dal titolo Il balletto a Leningrado tra avanguardia e ideologia si pone come intento quello di analizzare il passaggio dal clima russo rivoluzionario degli anni Venti del Novecento al periodo dell’ideologia stalinista, prendendo come oggetto specifico il genere teatrale del balletto nella sua intersezione con le altre arti e impostando come delimitazione geografica la città di San Pietroburgo-Leningrado, già culla del balletto zarista. Prendendo come base gli spunti offerti dalla recente letteratura scientifica internazionale, la ricerca mira innanzitutto a inquadrare l’attività coreografica di Fedor Lopuchov e gli influssi che quest’ultimo recepì dal musicologo Boris Asaf’ev e dall’artista Aleksandr Benois. Diviene pertanto chiaro come l’eredità del “sinfonismo” di Petipa fu da Lopuchov riletta sotto la lente delle più recenti conquiste dell’Avanguardia. Inoltre, attraverso l’esplorazione del rapporto tra La danzasinfonia di Lopuchov e la sua restante produzione coreografica, ci si comincia a interrogare sulla reale natura dei due rami dell’arte coreografica (la “danza pura” e la “danza drammatica”) sviluppando le idee racchiuse dalla studiosa Christina Ezrahi nel suo recente testo Swans of the Kremlin (University of Pittsburgh Press, 2012) attraverso il confronto con la produzione letteraria, teatrale, musicale e visiva delle Avanguardie russe oltre che con gli scritti dello stesso Lopuchov. La parte centrale della tesi si focalizza come già anticipato sul passaggio dal clima rivoluzionario all’ideologia del realismo socialista. Di fondamentale importanza diviene qui rintracciare le ragioni della costituzione del paradigma del drambalet (“balletto drammatico”), riflettendo in parallelo sulla revisione dei balletti classici in epoca sovietica. Traendo spunto da fonti diverse, di cui la più rilevante è la trascrizione conservata nell’archivio CGALI di una discussione avvenuta in seno al Dipartimento di Teoria del Teatro e della Musica dell’Accademia Statale di Scienze delle Arti in congiunzione con l’Unione dei Compositori Sovietici, si comprenderà in ultima analisi come il drambalet non fosse altro che una rivisitazione dell’eredità coreografica del maître de ballet francese Marius Petipa. La parte conclusiva della tesi si sposta infine all’epoca del “disgelo” sovietico per osservare il modo in cui il modello del balletto classico accademico e quello del drambalet confluirono in un’unica forma, dando vita al fenomeno del “nuovo sinfonismo coreografico”. Il dilemma cui tenta di rispondere la produzione coreografica dell’epoca del “disgelo” si muove tra il polo dello sviluppo della pantomima in stretta unione con la musica (obiettivo perseguito dal coreografo Jakobson nello spettacolo Spartacus attraverso l’ideazione di una particolare “plastica coreografica”) e il polo della liberazione della danza pura di derivazione sinfonica, arricchita però dalle lezioni sovietiche (obiettivo perseguito dal coreografo Jurij Grigorovič, allievo di Fedor Lopuchov, nello spettacolo Il fiore di pietra). In sintesi, entrambe le strade erano valide, ma se si preferì il linguaggio più astratto della danza classica fu soprattutto perché in essa non si vide più solo una componente ornamentale, ma un elemento atto ad “esprimere” l’interiorità e l’essenza del personaggio. Come aveva affermato in campo teatrale il regista Mejerchol’d, era la marionetta con i suoi gesti espressivi, con il gesto inventato, con il movimento convenzionale a creare la realtà e a dar vita alla maschera, in un processo dall’esteriore all’interiore che accomunava il Dottor Dappertutto all’ultimo Stanislavskij, quello delle azioni fisiche. Attraverso Grigorovič trionfava dunque la rilettura del balletto tradizionale à la Petipa offerta inizialmente da Lopuchov tramite la vicinanza con l’Avanguardia, ma ora rimodulata attraverso le lezioni del realismo socialista.
Il balletto a Leningrado tra avanguardia e ideologia
MELE, MARTA
2022
Abstract
La tesi di dottorato dal titolo Il balletto a Leningrado tra avanguardia e ideologia si pone come intento quello di analizzare il passaggio dal clima russo rivoluzionario degli anni Venti del Novecento al periodo dell’ideologia stalinista, prendendo come oggetto specifico il genere teatrale del balletto nella sua intersezione con le altre arti e impostando come delimitazione geografica la città di San Pietroburgo-Leningrado, già culla del balletto zarista. Prendendo come base gli spunti offerti dalla recente letteratura scientifica internazionale, la ricerca mira innanzitutto a inquadrare l’attività coreografica di Fedor Lopuchov e gli influssi che quest’ultimo recepì dal musicologo Boris Asaf’ev e dall’artista Aleksandr Benois. Diviene pertanto chiaro come l’eredità del “sinfonismo” di Petipa fu da Lopuchov riletta sotto la lente delle più recenti conquiste dell’Avanguardia. Inoltre, attraverso l’esplorazione del rapporto tra La danzasinfonia di Lopuchov e la sua restante produzione coreografica, ci si comincia a interrogare sulla reale natura dei due rami dell’arte coreografica (la “danza pura” e la “danza drammatica”) sviluppando le idee racchiuse dalla studiosa Christina Ezrahi nel suo recente testo Swans of the Kremlin (University of Pittsburgh Press, 2012) attraverso il confronto con la produzione letteraria, teatrale, musicale e visiva delle Avanguardie russe oltre che con gli scritti dello stesso Lopuchov. La parte centrale della tesi si focalizza come già anticipato sul passaggio dal clima rivoluzionario all’ideologia del realismo socialista. Di fondamentale importanza diviene qui rintracciare le ragioni della costituzione del paradigma del drambalet (“balletto drammatico”), riflettendo in parallelo sulla revisione dei balletti classici in epoca sovietica. Traendo spunto da fonti diverse, di cui la più rilevante è la trascrizione conservata nell’archivio CGALI di una discussione avvenuta in seno al Dipartimento di Teoria del Teatro e della Musica dell’Accademia Statale di Scienze delle Arti in congiunzione con l’Unione dei Compositori Sovietici, si comprenderà in ultima analisi come il drambalet non fosse altro che una rivisitazione dell’eredità coreografica del maître de ballet francese Marius Petipa. La parte conclusiva della tesi si sposta infine all’epoca del “disgelo” sovietico per osservare il modo in cui il modello del balletto classico accademico e quello del drambalet confluirono in un’unica forma, dando vita al fenomeno del “nuovo sinfonismo coreografico”. Il dilemma cui tenta di rispondere la produzione coreografica dell’epoca del “disgelo” si muove tra il polo dello sviluppo della pantomima in stretta unione con la musica (obiettivo perseguito dal coreografo Jakobson nello spettacolo Spartacus attraverso l’ideazione di una particolare “plastica coreografica”) e il polo della liberazione della danza pura di derivazione sinfonica, arricchita però dalle lezioni sovietiche (obiettivo perseguito dal coreografo Jurij Grigorovič, allievo di Fedor Lopuchov, nello spettacolo Il fiore di pietra). In sintesi, entrambe le strade erano valide, ma se si preferì il linguaggio più astratto della danza classica fu soprattutto perché in essa non si vide più solo una componente ornamentale, ma un elemento atto ad “esprimere” l’interiorità e l’essenza del personaggio. Come aveva affermato in campo teatrale il regista Mejerchol’d, era la marionetta con i suoi gesti espressivi, con il gesto inventato, con il movimento convenzionale a creare la realtà e a dar vita alla maschera, in un processo dall’esteriore all’interiore che accomunava il Dottor Dappertutto all’ultimo Stanislavskij, quello delle azioni fisiche. Attraverso Grigorovič trionfava dunque la rilettura del balletto tradizionale à la Petipa offerta inizialmente da Lopuchov tramite la vicinanza con l’Avanguardia, ma ora rimodulata attraverso le lezioni del realismo socialista.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/99116
URN:NBN:IT:UNIROMA1-99116