Dall’inizio degli anni 2000 è cresciuto l’interesse degli psicologi sociali per lo studio di una particolare forma di pregiudizio: la negazione di umanità ad altri gruppi o persone. Numerose ricerche hanno mostrato come le persone tendano ad attribuire maggiore umanità al proprio gruppo (ingroup) che all’outgroup. Questo fenomeno è stato dimostrato considerando diversi aspetti dell’umanità come, ad esempio, tratti (es., moralità) ed emozioni (es., orgoglio) unicamente umani, diversi rapporti intergruppi e diversi paradigmi sperimentali. Recentemente il campo di indagine è stato esteso anche alle conseguenze dell’infraumanizzazione. In questa direzione si è trovato che l’infraumanizzazione può portare a conseguenze negative come, ad esempio, l’inibizione delle intenzioni e dei comportamenti di aiuto, la riduzione dell’empatia, l’aumento della discriminazione. Nonostante esista un’ampia letteratura che ha documentato le conseguenze della negazione di una piena umanità all’outgroup, rimangono problemi poco indagati. In questo lavoro, organizzato in tre sezioni, si sono studiati: Sezione 1) gli effetti delle attribuzioni di umanità sui comportamenti violenti ai danni dell’outgroup; Sezione 2) gli effetti delle attribuzioni di umanità sulle tendenze a cercare il contatto con l’outgroup; Sezione 3) le conseguenze della deumanizzazione in ambito socio-sanitario. Nella prima sezione si sono testati gli effetti della deumanizzazione sulla percezione dell’outgroup come disposto alla violenza e sui comportamenti violenti nei suoi confronti (come outgroup si sono considerati gli immigrati marocchini). Nel primo studio si è indagato se le attribuzioni di umanità influenzassero la percezione dell’outgroup come pericoloso. Attraverso misure esplicite (attribuzione di tratti unicamente umani e tratti non unicamente umani) e misure implicite (Go/No-go Association Test, GNAT) è stata misurata l’attribuzione di umanità dell’outgroup. La percezione di pericolosità è stata misurata con una tecnica di priming sequenziale, il “Weapon Task” in cui i partecipanti dovevano discriminare armi da oggetti di uso comune, premendo tasti diversi, dopo la presentazione di volti di Italiani o volti di Marocchini (stimoli prime). Dai risultati è emerso che i volti marocchini, rispetto ai volti italiani, facilitavano il riconoscimento delle armi (“Weapon Bias”). Inoltre, è stato osservato come questo bias dipendesse dalla deumanizzazione dell’outgroup (associazione dei marocchini all’animalità e attribuzione ad essi di tratti non unicamente umani). L’obbiettivo del secondo studio era di indagare la relazione fra deumanizzazione e tendenze comportamentali violente considerando, in particolare, l’effetto moderatore delle funzioni esecutive. L’ipotesi dello studio era che la deumanizzazione dei Marocchini portasse a comportamenti violenti solo per i partecipanti con minor controllo del loro comportamento. Lo studio comprendeva tre prove al computer: a) uno SC-IAT (Single Category Association Task) per misurare le attribuzioni di umanità ai marocchini; b) un compito Stroop per misurare le funzioni esecutive; c) uno “Shooting Task”, una versione modificata del “Weapon Bias Task” in cui i partecipanti dovevano simulare un comportamento di difesa sparando a dei target armati, ossia i volti seguiti dalle immagini di armi. I target potevano essere membri dell’ingroup (Italiani) o membri dell’outgroup (Marocchini). I risultati hanno confermato l’ipotesi: più l’outgroup era associato all’animalità più rapidamente i partecipanti sparavano a target marocchini armati, rispetto a target italiani armati. Come ipotizzato, questo effetto è stato osservato solo nei partecipanti con funzioni esecutive poco efficienti, ossia nei partecipanti con un punteggio più elevato al compito Stroop. Viceversa, nel caso dei partecipanti con un adeguato controllo del proprio comportamento, ossia con bassa interferenza Stroop, la relazione tra deumanizzazione e tendenze violente non è stata confermata. Per indagare ulteriormente il ruolo delle funzioni esecutive nella relazione fra attribuzioni di umanità e violenza è stato condotto un terzo studio in cui le funzioni esecutive sono state manipolate. In una condizione, di basso carico cognitivo, i partecipanti completavano un test Stroop in cui erano presenti solo stimoli compatibili e stimoli neutri (stringa di lettere “X”). Nella seconda condizione, di alto carico cognitivo, ai partecipanti era somministrato un test Stroop con stimoli incompatibili e stimoli neutri. Al termine della manipolazione i partecipanti svolgevano lo “Shooter Task”. Le percezioni di umanità venivano misurate attraverso lo SC-IAT, somministrato prima della manipolazione. I risultati non hanno mostrato effetti significativi della manipolazione. Sono proposte altre strategie di manipolazione del controllo esecutivo. Nella seconda sezione sono stati realizzati due studi per testare la relazione tra contatto intergruppi e attribuzioni di umanità. Nel primo studio si indagava se l’umanizzazione dell’outgroup avrebbe portato ad una maggiore disponibilità ad incontrare i suoi membri. Le percezioni di umanità erano manipolate attraverso una prova di priming subliminale: a seconda della condizione, l’outgroup (immigrati marocchini) veniva associato all’umanità (condizione di umanizzazione) o all’animalità (condizione di deumanizzazione). Per misurare la tendenza alla disponibilità al contatto, si utilizzava una tecnica implicita il “Manikin Task” in cui i partecipanti dovevano avvicinare o allontare, a seconda delle istruzioni, una figura umana (un manichino) da stimoli relativi all’outgroup. Si ipotizzava che nella condizione di umanizzazione i partecipanti sarebbero stati più rapidi nell’avvicinarsi all’outgroup e più lenti nell’allontanarsi da esso, rispetto alla condizione di deumanizzazione. Si ipotizzava anche che nella condizione di umanizzazione, ma non in quella di deumanizzazione, i tempi di avvicinamento sarebbero stati più rapidi di quelli di allontanamento. I risultati hanno confermato la seconda ipotesi. Nella condizione di umanizzazione i rispondenti sono stati più rapidi nell’avvicinarsi, che nell’allontanarsi, dai nomi marocchini. Nel secondo studio si è indagato il processo opposto, ossia se il contatto avrebbe migliorato le percezioni di umanità dell’outgroup. In questa ricerca si è manipolato il contatto nei confronti dell’outgroup attraverso il “Manikin Task”. Diversamente dallo studio precedente, i partecipanti svolgevano solo il blocco in cui era chiesto di avvicinarsi all’outgroup (volti di marocchini). Inoltre, è stata prevista una condizione di controllo in cui i volti di membri dell’outgroup erano sostituiti con immagini di mobili (stimoli neutri). Si ipotizzava che, nella condizione di contatto, i partecipanti avrebbero percepito l’outgroup più umano rispetto alla condizione di controllo. I risultati hanno confermato le ipotesi. I partecipanti nella condizione di contatto hanno attribuito una maggiore umanità all’outgroup rispetto alla condizione di controllo. Inoltre, è stato trovato un effetto mediatore della fiducia. Nella terza sezione, sono stati realizzati studi per indagare gli effetti della deumanizzazione in ambito sanitario e centri di assistenza. Nel primo studio, correlazionale, si è indagato se le attribuzioni di umanità fossero utilizzate come strategia per affrontare lo stress nei contesti sanitari. È stato somministrato un questionario a personale ospedaliero (infermiere) in cui erano incluse misure di umanità, misure self-report del livello di stress (sintomi psicofisici) e variabili organizzative, ossia impegno affettivo nei confronti dell’ospedale e impegno affetivo nei confronti del paziente. Si ipotizzava che la negazione di una piena umanità ai pazienti sarebbe stata utilizzata come strategia per ridurre lo stress; si ipotizzava, inoltre, un effetto moderatore dell’impegno affettivo verso l’ospedale e verso i pazienti. I risultati hanno confermato entrambe le ipotesi: la negazione di piena umanità ai pazienti era associata a minore percezione di stress e, inoltre, questo effetto era moderato dall’impegno: solo per i rispondenti con alti livelli di impegno affettivo, verso l’ospedale o verso i pazienti, l’attribuzione di minore umanità era associata a minori livelli di stress. Viceversa, le attribuzioni di umanità non erano utilizzate come strategia di coping dal personale con un basso impegno affettivo. Nel secondo (Studio 2a e 2b) si sono studiate le percezioni di umanità relative a persone con disabilità mentale e le conseguenze di tali percezioni. Nella prima parte del secondo studio è stato trovato come ai disabili mentali sia negata una piena umanità; questo fenomeno è stato osservato considerando diverse misure di umanità (tratti ed emozioni). Nello studio 2b si sono misurate le attribuzioni di umanità a persone con disabilità mentale e si è testato se tali attribuzioni fossero correlate con tendenze di approach/avoidance, misurate a livello implicito attraverso lo SC-IAT. La ricerca è stata condotta con operatori che lavoravano in una struttura di assistenza per i disabili. Dai risultati è emersa che la tendenza ad avvicinare i disabili non è correlata con l’atteggiamento, ma con le percezioni di umanità: quanto maggiore l’attribuzione di emozioni unicamente umane tanto maggiore l’avvicinamento

Humanity Attributions in Different Intergroup Contexts, and Related Phenomena

DI BERNARDO, GIAN ANTONIO
2013

Abstract

Dall’inizio degli anni 2000 è cresciuto l’interesse degli psicologi sociali per lo studio di una particolare forma di pregiudizio: la negazione di umanità ad altri gruppi o persone. Numerose ricerche hanno mostrato come le persone tendano ad attribuire maggiore umanità al proprio gruppo (ingroup) che all’outgroup. Questo fenomeno è stato dimostrato considerando diversi aspetti dell’umanità come, ad esempio, tratti (es., moralità) ed emozioni (es., orgoglio) unicamente umani, diversi rapporti intergruppi e diversi paradigmi sperimentali. Recentemente il campo di indagine è stato esteso anche alle conseguenze dell’infraumanizzazione. In questa direzione si è trovato che l’infraumanizzazione può portare a conseguenze negative come, ad esempio, l’inibizione delle intenzioni e dei comportamenti di aiuto, la riduzione dell’empatia, l’aumento della discriminazione. Nonostante esista un’ampia letteratura che ha documentato le conseguenze della negazione di una piena umanità all’outgroup, rimangono problemi poco indagati. In questo lavoro, organizzato in tre sezioni, si sono studiati: Sezione 1) gli effetti delle attribuzioni di umanità sui comportamenti violenti ai danni dell’outgroup; Sezione 2) gli effetti delle attribuzioni di umanità sulle tendenze a cercare il contatto con l’outgroup; Sezione 3) le conseguenze della deumanizzazione in ambito socio-sanitario. Nella prima sezione si sono testati gli effetti della deumanizzazione sulla percezione dell’outgroup come disposto alla violenza e sui comportamenti violenti nei suoi confronti (come outgroup si sono considerati gli immigrati marocchini). Nel primo studio si è indagato se le attribuzioni di umanità influenzassero la percezione dell’outgroup come pericoloso. Attraverso misure esplicite (attribuzione di tratti unicamente umani e tratti non unicamente umani) e misure implicite (Go/No-go Association Test, GNAT) è stata misurata l’attribuzione di umanità dell’outgroup. La percezione di pericolosità è stata misurata con una tecnica di priming sequenziale, il “Weapon Task” in cui i partecipanti dovevano discriminare armi da oggetti di uso comune, premendo tasti diversi, dopo la presentazione di volti di Italiani o volti di Marocchini (stimoli prime). Dai risultati è emerso che i volti marocchini, rispetto ai volti italiani, facilitavano il riconoscimento delle armi (“Weapon Bias”). Inoltre, è stato osservato come questo bias dipendesse dalla deumanizzazione dell’outgroup (associazione dei marocchini all’animalità e attribuzione ad essi di tratti non unicamente umani). L’obbiettivo del secondo studio era di indagare la relazione fra deumanizzazione e tendenze comportamentali violente considerando, in particolare, l’effetto moderatore delle funzioni esecutive. L’ipotesi dello studio era che la deumanizzazione dei Marocchini portasse a comportamenti violenti solo per i partecipanti con minor controllo del loro comportamento. Lo studio comprendeva tre prove al computer: a) uno SC-IAT (Single Category Association Task) per misurare le attribuzioni di umanità ai marocchini; b) un compito Stroop per misurare le funzioni esecutive; c) uno “Shooting Task”, una versione modificata del “Weapon Bias Task” in cui i partecipanti dovevano simulare un comportamento di difesa sparando a dei target armati, ossia i volti seguiti dalle immagini di armi. I target potevano essere membri dell’ingroup (Italiani) o membri dell’outgroup (Marocchini). I risultati hanno confermato l’ipotesi: più l’outgroup era associato all’animalità più rapidamente i partecipanti sparavano a target marocchini armati, rispetto a target italiani armati. Come ipotizzato, questo effetto è stato osservato solo nei partecipanti con funzioni esecutive poco efficienti, ossia nei partecipanti con un punteggio più elevato al compito Stroop. Viceversa, nel caso dei partecipanti con un adeguato controllo del proprio comportamento, ossia con bassa interferenza Stroop, la relazione tra deumanizzazione e tendenze violente non è stata confermata. Per indagare ulteriormente il ruolo delle funzioni esecutive nella relazione fra attribuzioni di umanità e violenza è stato condotto un terzo studio in cui le funzioni esecutive sono state manipolate. In una condizione, di basso carico cognitivo, i partecipanti completavano un test Stroop in cui erano presenti solo stimoli compatibili e stimoli neutri (stringa di lettere “X”). Nella seconda condizione, di alto carico cognitivo, ai partecipanti era somministrato un test Stroop con stimoli incompatibili e stimoli neutri. Al termine della manipolazione i partecipanti svolgevano lo “Shooter Task”. Le percezioni di umanità venivano misurate attraverso lo SC-IAT, somministrato prima della manipolazione. I risultati non hanno mostrato effetti significativi della manipolazione. Sono proposte altre strategie di manipolazione del controllo esecutivo. Nella seconda sezione sono stati realizzati due studi per testare la relazione tra contatto intergruppi e attribuzioni di umanità. Nel primo studio si indagava se l’umanizzazione dell’outgroup avrebbe portato ad una maggiore disponibilità ad incontrare i suoi membri. Le percezioni di umanità erano manipolate attraverso una prova di priming subliminale: a seconda della condizione, l’outgroup (immigrati marocchini) veniva associato all’umanità (condizione di umanizzazione) o all’animalità (condizione di deumanizzazione). Per misurare la tendenza alla disponibilità al contatto, si utilizzava una tecnica implicita il “Manikin Task” in cui i partecipanti dovevano avvicinare o allontare, a seconda delle istruzioni, una figura umana (un manichino) da stimoli relativi all’outgroup. Si ipotizzava che nella condizione di umanizzazione i partecipanti sarebbero stati più rapidi nell’avvicinarsi all’outgroup e più lenti nell’allontanarsi da esso, rispetto alla condizione di deumanizzazione. Si ipotizzava anche che nella condizione di umanizzazione, ma non in quella di deumanizzazione, i tempi di avvicinamento sarebbero stati più rapidi di quelli di allontanamento. I risultati hanno confermato la seconda ipotesi. Nella condizione di umanizzazione i rispondenti sono stati più rapidi nell’avvicinarsi, che nell’allontanarsi, dai nomi marocchini. Nel secondo studio si è indagato il processo opposto, ossia se il contatto avrebbe migliorato le percezioni di umanità dell’outgroup. In questa ricerca si è manipolato il contatto nei confronti dell’outgroup attraverso il “Manikin Task”. Diversamente dallo studio precedente, i partecipanti svolgevano solo il blocco in cui era chiesto di avvicinarsi all’outgroup (volti di marocchini). Inoltre, è stata prevista una condizione di controllo in cui i volti di membri dell’outgroup erano sostituiti con immagini di mobili (stimoli neutri). Si ipotizzava che, nella condizione di contatto, i partecipanti avrebbero percepito l’outgroup più umano rispetto alla condizione di controllo. I risultati hanno confermato le ipotesi. I partecipanti nella condizione di contatto hanno attribuito una maggiore umanità all’outgroup rispetto alla condizione di controllo. Inoltre, è stato trovato un effetto mediatore della fiducia. Nella terza sezione, sono stati realizzati studi per indagare gli effetti della deumanizzazione in ambito sanitario e centri di assistenza. Nel primo studio, correlazionale, si è indagato se le attribuzioni di umanità fossero utilizzate come strategia per affrontare lo stress nei contesti sanitari. È stato somministrato un questionario a personale ospedaliero (infermiere) in cui erano incluse misure di umanità, misure self-report del livello di stress (sintomi psicofisici) e variabili organizzative, ossia impegno affettivo nei confronti dell’ospedale e impegno affetivo nei confronti del paziente. Si ipotizzava che la negazione di una piena umanità ai pazienti sarebbe stata utilizzata come strategia per ridurre lo stress; si ipotizzava, inoltre, un effetto moderatore dell’impegno affettivo verso l’ospedale e verso i pazienti. I risultati hanno confermato entrambe le ipotesi: la negazione di piena umanità ai pazienti era associata a minore percezione di stress e, inoltre, questo effetto era moderato dall’impegno: solo per i rispondenti con alti livelli di impegno affettivo, verso l’ospedale o verso i pazienti, l’attribuzione di minore umanità era associata a minori livelli di stress. Viceversa, le attribuzioni di umanità non erano utilizzate come strategia di coping dal personale con un basso impegno affettivo. Nel secondo (Studio 2a e 2b) si sono studiate le percezioni di umanità relative a persone con disabilità mentale e le conseguenze di tali percezioni. Nella prima parte del secondo studio è stato trovato come ai disabili mentali sia negata una piena umanità; questo fenomeno è stato osservato considerando diverse misure di umanità (tratti ed emozioni). Nello studio 2b si sono misurate le attribuzioni di umanità a persone con disabilità mentale e si è testato se tali attribuzioni fossero correlate con tendenze di approach/avoidance, misurate a livello implicito attraverso lo SC-IAT. La ricerca è stata condotta con operatori che lavoravano in una struttura di assistenza per i disabili. Dai risultati è emersa che la tendenza ad avvicinare i disabili non è correlata con l’atteggiamento, ma con le percezioni di umanità: quanto maggiore l’attribuzione di emozioni unicamente umane tanto maggiore l’avvicinamento
30-gen-2013
Inglese
dehumanization, infrahumanization, job-related stress, intergroup contact, intergroup violence.
CAPOZZA, DORA
ROBUSTO, EGIDIO
Università degli studi di Padova
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-83189